venerdì 27 febbraio 2009

Tessile: Lo Stato ci aiuti o si chiude !

L'Sos del tessile: "Lo Stato ci aiuti
o qui si chiude"

Per la crisi internazionale il distretto tessile di Biella vive il suo momento più difficile da sempre



GIOVANNI CERRUTI
INVIATO A BIELLA
La “Rammendatura Moderna” chiude questa mattina, altri trenta a casa, e Alberto Platini si tortura la sua bella sciarpa di seta. E’ nera, come l’umore di questi duecento che alle due del pomeriggio si son dati appuntamento nella sala dell’Auditorium di Città Studi. Arrivano da Prato, da Carpi, da Vicenza e Schio, da Como e Novara. Sono le facce e i nomi del tessile allo sbando. Sergio Scaramal, il presidente della provincia di Biella, ha appena parlato di «un imprenditore che ha il 70% di ordini in meno». E’ Alberto Platini, 43 anni, vice presidente degli industriali di Biella. «E non sono l’unico...».

Aspettano notizie da Roma, proprio adesso c’è un incontro al Ministero. «Perché per l’auto sì, per l’elettrodomestico sì, per Alitalia sì, per il mobile pure e per noi niente?». Luciano Donatelli, 60 anni, il presidente degli industriali, ha scritto al premier e ai giornali: «Non chiediamo favori, ma almeno 18 mesi di attenzione». Solo a Biella rischiano il lavoro in 20 mila. Risposte, finora, nessuna. «La nostra è una crisi che non si vede, e dunque è molto più pericolosa. E andrà avanti almeno fino al 2010».

Dimenticarsi, almeno qui, il bel mondo della moda, le griffe, le modelle, le sfilate e le feste. E’ un’altra storia. Ed è una crisi che tocca tutte le grandi famiglie, gli Angelico e i Cerruti, Loro Piana e Piacenza, Reda e Zegna. «L’ultima azienda che non era ricorsa alla cassa integrazione ordinaria era Piacenza - dice Gianfranco Stoppa, segretario dei tessili Cgil del Piemonte -. L’ha appena chiesta». E a loro, ai grandi, va ancora bene. «La maggior parte delle aziende sono piccole e non possono accedere alla cassa - spiega Vittorio Barazzotto, 50 anni, il sindaco -. Lavoratori ad alta specializzazione che escono e non torneranno più».

A Prato in dodici anni le aziende tessili si son dimezzate, da 12 mila a 6 mila. L’altra sera 200 artigiani dell’indotto, riuniti dal sindaco, si son detti pronti alla resa: «Consegneremo le chiavi alle banche». Per protesta stanno preparando uno striscione per la manifestazione di domani: sarà lungo un chilometro. Da Carpi, Vicenza, Como, Novara, stessi bollettini da disfatta. Mercedes Bresso, governatrice del Piemonte, tenta di tirar su il morale: «Il tessile è il 10% del valore aggiunto nazionale ed è l’immagine dell’Italia». Già, ma è il tessile o la moda, è l’industria o la passerella?

Alberto Platini sta pensando alla sua “Rammendatura Moderna” che chiude questa mattina. Chissà dove sono finiti i tessuti che le sue operaie lavorano, alla Casa Bianca, al Cremlino, a Buckingham Palace, in Vaticano, da qualche Emiro? «Ho quattro aziende, 120 dipendenti, quasi tutte donne. Il fotovoltaico. Le pari opportunità. L’attenzione all’ecologia. L’innovazione. La ricerca. Insomma, ho sempre fatto tutto e di più. Ma ho il 70% degli ordini in meno e l’Irap da pagare. Morale, mi dovrò rivolgere a una banca e c’è chi sta peggio di me: una collega mi ha appena detto che non sa se riesce ad arrivare a fine marzo».

Chiedono un fisco più leggero, magari la «deducibilità per le spese di prodotti del tessile». La «tracciabilità», in modo che si sappia per certo se un prodotto è davvero made in Italy. Quando finisce questo «Textile day» biellese, da Roma arriva qualche buon segnale: all’incontro con i rappresentanti del settore, sindacati compresi, c’era il ministro Scajola in persona. Non se l’aspettavano. «Si è impegnato a dare risposte in tempi rapidi», fa sapere Michele Tronconi, presidente di Sistema Moda Italia.

Ammesso che non sia già troppo tardi, o che possa bastare. Luciano Barbera, 70 anni, non riesce a mostrarsi ottimista. «I miei 120 dipendenti in questo mese hanno già fatto una settimana di cassa integrazione», dice. La crisi avanza e si abbatte anche su questo signore con clienti illustri, da Brioni a Chanel, «ai miei altri 200 sparsi nel mondo». Ha crediti per 2 milioni e 600 mila euro, il 70% in Usa. «Lo Stato dovrebbe dare commesse e nuova liquidità a chi non ha delocalizzato. E sempre lo Stato dovrebbe garantire l’autenticità dei nostri prodotti».

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