domenica 11 maggio 2014

Proposta per Prato # 2 "Iccheva ?"

Proposta per Prato # 2 
"Iccheva ?"


Un problema delle aziende tessili pratesi : produrre solo quello che va di moda

Negli anni la straordinaria creatività delle aziende pratesi e la capacità di cambiare produzione seguendo  le tendenze moda ha fatto sì che i fantastici e innovativi prodotti che venivano creati per le piu' famose case di moda venissero si esauriscano nel giro di un paio di stagione. 

Ogni collezione se non è "nuova" non vale, possiamo indossare gli stessi vestiti dello scorso anno ?

Questa grandissima capacità di creare novità se unita ad un distretto che poteva produrre ad un prezzo medio basso creava un potenziale pazzesco in grado di creare uno dei distretti produttivi piu' ricchi del territorio nazionale.

Oggi, anche se la capacità di produrre "idee" è immutata , non riusciamo piu' a produrre ai prezzi che vorrebbero i nostri clienti.

Questo provoca grossi sforzi nel realizzare le idee e gli ordini che arrivano spesso non compensano rispetto lo "sforzo" fatto dall'azienda in fase di progettazione (es. modifica dei processi produttivi, acquisto materie prime sperimentali).

La verità : siamo involontari studi di progettazione

Nella maggior parte dei casi grosse aziende vengono a Prato per realizzare il loro campionario.
Una volta realizzata la collezione si procede con piccoli ordinativi . 
Arriva ora la fase cruciale: GLI ORDINI.

Nella maggior parte dei casi le campionature prendo vie esotiche, preferibilmente Far East dove esistono uffici che lavorano per far riprodurre a costi irrisori le nostre idee.

Il bello è che i piccoli ordinativi iniziali che queste grosse aziende ancora piazzano alle aziende pratesi sono in alcuni casi vitali per le dimensioni, spesso piccole, delle nostre ditte.

Allora che fare ?

Le aziende che "resistono" dovrebbero pensare innanzitutto a fare un prodotto finito e non ancora un semilavorato (es tessuto) per accorciare la filiera.

Presentare i prodotti col nome dell'azienda che li produce.

Riservare le idee innovative per la propria collezione.

Come fare a creare un mercato a questi prodotti ?

I brand che ogni azienda puo' realizzare hanno il problema di non avere nessun valore come penetrazione di mercato se non il prodotto in sé.

Gli agenti tradizionali hanno aziende con brand già affermati e non c'è spazio , in tempi di crisi, per entrare sul mercato.

Le associazioni di categorie ( o nuovo organo realizzato per il progetto) dovrebbero adoperarsi per riunire tutti i nuovi brand in un unico Emporio che caratterizzi, una volta per tutte, la vera essenza il prodotto pratese cioè : La Novità.

Infatti bisognerebbe creare un market-place dove ogni azienda vende online "il prodotto pratese".

Sebbene le vendite online  possano sembrare una nicchia potrete notare da questo grafico della Casaleggio Associati (vendite in Italia)


Ricordo che la prima azienda di abbigliamento che diversi anni fa ha iniziato a vendere online abbigliamento , fra lo scetticismo generale, oggi è quotata in borsa ( Yoox).

Oggi , sebbene in ritardo, ci sarebbe la possibilità di iniziare chiedendo la consulenza sia di designer per la collezione , sia di esperti di web marketing che certo non mancano privilegiando le nuove generazioni che , parlando di novità, saprebbero aggiungere la loro naturale freschezza alle idee al mondo di periti , artigiani e imprenditori tessili che ad oggi lavorano in questo mondo.








lunedì 17 marzo 2014

Made in Italy a 5 stelle

Made in Italy a 5 stelle


Introduzione

Esistono allo stato attuale due leggi per definire se un prodotto o un manufatto è Made in Italy:

a) la legge 55 del 2010 denominata Reguzzoni Versace

b) la legge 166 art. 6 del 20 Novembre 2009


Nella legge 55 , piu' recente, si definisce che  per un prodotto  basta che 2 delle 4 lavorazioni indicate dalla legge vengano effettuate sul territorio nazionale per essere commercializzato come " Made In Italy".

Es. Nel tessile si parla di filatura,tessitura,nobilitazione e confezione

Questo ha i seguenti effetti immediati :

a) Favorisce coloro che hanno delocalizzato parte della produzione

b) Favorisce l'importazione di semi-prodotti da paesi in via di sviluppo

c) Indebolisce o distrugge la filiera produttiva (in particolare sono a rischio i primi processi produttivi)

d) Contribuisce a creare concorrenza sleale tra chi fa un prodotto made in italy "puro" e fra chi importa e/o delocalizza .

e) Favorisce l'illegalità . Molte aziende (in molti casi create da imprenditori di origine cinesi ) sfruttando la filiera e il know how di alcuni distretti produttivi (es. Distretto Pratese) offrono un made in Italy che è un mix di semiprodotti provenienti dalla cina e lavoro ,sottopagato fra conterranei, sul nostro territorio.

f) Le aziende che hanno benefici da questa legge nella maggior parte dei casi trasferiscono i loro guadagni in paesi esteri dove le tassazioni sono minori impoverendo economicamente il territorio dove vengono effettuate le lavorazioni dove non vengono re-investiti i guadagni

Invece la legge 166/2009 parla di 100% made in Italy.

Anche qui molta confusione. Intanto si tratta di una legge modello "Milleproroghe" dove si trattano gli argomenti piu' disparati. Poi non si capisce bene quanti made in Italy ci debbano essere !(?)

PROPOSTA

Nel settore alberghiero si indicano con le stelle il grado e l'efficienza della struttura che sta per ospitarti.

Il cliente sceglie valuta in piena coscienza a che struttura affidarsi.

Il metodo piu' comune è quello delle famose stelle.

Infatti un cliente che viene dagli Usa sa che se va in un 5 stelle il servizio che ricerverà si presume sarà ottimo mentre se andrà in un 2 stelle starà un po' alla sorte.

In questo senso dovremo catalogare le aziende che producono il Made In Italy .

In base alle lavorazioni effettuate sul territorio dare una stella (sono 4) , in piu' la quinta stella da dare alle aziende con criteri meritocratici.

Questo sarebbe utile sia ai buyers e /o consumatori stranieri che acquistano i nostri prodotti in piu' sarebbero utileialle aziende italiane per giustificare un prezzo del prodotto che non puo' essere lo stesso dei "semi-produttori" o dei "delocalizzatori".

Allo stato attuale un prodotto a "2 stelle" sul mercato internazionale ha lo stesso valore di un " 4 stelle" ma il prezzo di produzione finale è assai diverso !

Definire cio' sarebbe il primo passo per arrivare a catalogare e ad informare cosa vuol dire comprare un prodotto italiano a 5 stelle !

Questo salvaguarderebbe la filiera produttiva, ridurrebbe l'illegalità (chi comprerebbe un made italy a 2 stelle?), ricreerebbe ricchezza sui territori.

Saluti e buon lavoro per contatti signa@hotmail.it


giovedì 20 febbraio 2014

Proposta per il distretto tessile Pratese #1



Come mai Google non ci segnala ?
ovvero:
siamo o no un'eccellenza?

La propensione degli industriali , ma in generale degli imprenditori , pratesi e non , a stabilire strategie comuni per uscire da questa crisi complessa e strutturale , fa perdere di vista cose semplici che si possono fare Prato a partire da oggi a costo ZERO o quasi.

Affinchè cio' avvenga mi rivolgo in particolare, per questa proposta, ad Andrea Cavicchi , presidente dell'Unione Industriale Pratese nonchè del Museo del Tessuto .

Elenco di seguito il link dove dobbiamo apparire (magari alla C.C.I.A.A.è sfuggito) :


Di "sicuro" saranno sfuggite anche le dichiarazioni del CEO di Google Schmidt che vuole pesantemente investire sul Made Italy :


Il passo che si prospetta è piu' culturale che economico. 
Vogliamo continuare a far arricchire le griffes di moda o vogliamo uscire dal guscio?
L'atavico problema di bassa autostima che contraddistingue la classe imprenditoriale pratese,  puo' qualificarsi attraverso questo strumento fantastico che si chiama internet . 
Ma ci arriveremo con altre proposte.
Rimaniamo umili, andiamo un passo alla volta.

Nel distretto tessile individuo almeno 6 eccellenze da segnalare:

  • meccanotessile
  • tessuti cardati da lana rigenerata (meccanica)
  • tessuti e filati di alta qualità
  • filati cardati
  • filati da aguglieria (per il fatto a mano)
  • l'intera filiera tessile (filature,tintorie,rifinizioni,tessiture etc)


si fa ?

Massimo Signori
signa@hotmail.it






lunedì 15 luglio 2013

MODA AL VELENO


MODA AL VELENO – Sostanze tossiche nei vestiti dei grandi marchi

VESTITI TOSSICI CONTENENTI SOSTANZE CHIMICHE
in grado di provocare cancro e disturbi ormonali, prodotti in Cina e altri paesi in via di sviluppo.Zara, Benetton, Calvin Klein, Levi’s, Marks and Spencer, Diesel, H&M, Armani, C&A, Gap, Esprit e altre griffe internazionali sono sotto accusa dopo la pubblicazione delle analisi di Greenpeace nell’ambito della campagna Detox 2012.Grazie alla campagna Detox 2012 di Greenpeace arriva la conferma che anche i principali brand e le multinazionali della moda confezionano ‘vestiti tossici’, contenenti sostanze chimiche in grado di provocare cancro e disturbi ormonali.L’associazione ambientalista ha condotto l’indagine monitorando 20 marchi tra i più diffusi al mondo e acquistando capi di abbigliamento prodotti in Cina e altri paesi in via di sviluppo.

vestiti_tossiciIL RISULTATO?
Più di 2/3 dei capi analizzati è stata rilevata la presenza di alchilfenoli, ftalati e nonifenoli etossilati, sostanze chimiche cancerogene e in grado di produrre alterazioni ormonali (responsabili di femminilizzazione dei neonati, disturbi nello sviluppo sessuale, danni ai reni, al fegato, ai polmoni).L’uso di queste sostanze ha ricadute negative anche sull’ambiente e contribuisce all’inquinamento dei corsi d’acqua sia laddove i tessuti vengono prodotti, sia nel lavaggio domestico. Non si tratta di un aspetto secondario dal momento che le industrie tessili risultano essere la prima causa di inquinamento delle falde acquifere.Forse non sarà possibile quantificare le conseguenze di questa intossicazione quotidiana e silenziosa. In assenza di una risposta certa l’unica possibilità che abbiamo è quella di modificare sin d’ora le nostre vecchie abitudini, anche per quanto riguarda l’abbigliamento.
>Fonte< 
Redatto da Pjmanc: http://ilfattaccio.org
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domenica 13 gennaio 2013

Le banche prestano meno e a tassi piu' alti.


fonte: soldiblog.it


prestiti erogati dalle banche italiane a imprese e famiglie sono calati di 48,2 miliardi nell’anno appena trascorso, cioè il 3,15% in meno rispetto al 2011, passando da 1.533,3 a 1.485,1 miliardi di euro. Sono i numeri forniti dal Centro studi Unimpresa relativi al periodo che va da novembre 2011 a novembre 2012, lasso di tempo in cui in cui la Banca Centrale Europea ha investito più di 200 miliardi in larga parte in titoli di Stato italiani con la conseguenza di far salire lo stock dei nostri BOT e BTP a 140 miliardi di euro.
Secondo Adusbef e Federcomsumatori la BCE ha dato alle banche nostrane 274 miliardi di prestiti triennali al tasso di interesse dell’uno per cento, ma gli italiani nell’Eurozona sono sempre quelli che pagano di più per mutui e prestiti.
I tassi medi di interesse applicati dagli istituti di credito infatti sono i più alti e arrivano al doppio della media dei paesi dell’area euro, con un differenziale negativo di 137 punti base (era +67 a novembre 2011). E con il perdurare della crisi a beneficiare della stretta al credito è il racket dell’usura (qui i tassi del primo trimestre 2013). Le banche chiudono i rubinetti e gli strozzini vanno a nozze, con un giro d’affari annuo stimato in 20 miliardi di euro.
Il mese scorso la Commissione europea, proprio per far fronte alle difficoltà d’accesso ai normali canali creditizi, ha proceduto ad approvare i piani di ristrutturazione di altre 4 banche spagnole considerandoli compatibili con la normativa sugli aiuti di Stato. Stessa sorte in Italia per il Monte dei Paschi di Siena che ha beneficiato di un salvataggio per garantire la stabilità dell’intero sistema finanziario nazionale sempre da parte della Commissione europea la quale ha approvato una ricapitalizzazione di 3,9 miliardi per l’istituto di credito che dovrà presentare un valido piano di ristrutturazione.
Foto © TMNews

venerdì 11 gennaio 2013

Canapa, la fibra piu' ecologica.


Capannori: Gli agricoltori riprendono la coltivazione della canapa

CAPANNORI Quasi cento ettari coltivati a canapa. Accade tra le frazioni di S. Margherita e Pieve S. Paolo, dove due agricoltori si sono accodati al progetto lanciato da un’azienda di Bientina grazie ai finanziamenti della Regione. Il Comune ha fatto da tramite, ha organizzato un seminario e ora si gode il successo, per bocca dell’assessore all’ambiente Alessio Ciacci. «L’iniziativa ha avuto molto successo – dice – Tanti a partecipanti al seminario e dalla parole siamo passati subito ai fatti, con due agricoltori (Francesco Pracchia e Marco Paganelli) che inizieranno a coltivare la canapa dalla prossima primavera». La canapa in questione è la cannabis sativa, utilizzata per creare pannelli isolanti che vengono utilizzati nella costruzione delle case, ma anche materiale per realizzare mobili. Gli impianti per trasformare la canapa prodotta a Capannori si trovano a Bientina, dove la CanapaLithos Toscana ha la sua sede. Quello della canapa nella Piana è di fatto un ritorno. Coltivazione diffusissima soprattutto nei secoli scorsi e poi decaduta con il tempo e sotto la scure di leggi proibizionistiche, la cannabis sativa è ora pronta a tornare alla ribalta, in versione assolutamente eco-friendly. Della canapa, infatti, non si butta niente, come spiega lo stesso Ciacci. «Tutta la pianta viene utilizzata per realizzare i pannelli isolanti o il materiale per i mobili. Inoltre, la coltivazione non necessità di molta acqua, né di pesticidi. Infine, la canapa si inserisce perfettamente nella rotazione dei campi, perché restituisce al terreno sostanze preziose». Insomma, un prodotto che pare perfetto per rilanciare il settore agricolo di Capannori, tanto che l’assessore prevede un raddoppio dell’estensione delle coltivazioni tra un anno. Una scommessa che Ciacci vuole vincere. «Altri agricoltori hanno mostrato interesse e siamo certi che il progetto riscuoterà grande successo. Non ci sono rischi d’impresa e i costi sono minimi, mentre la resa è sicura. Non vedo perché non debba funzionare». Arianna Bottari – Il Tirreno

giovedì 3 gennaio 2013