martedì 21 aprile 2009

Tessile e Ambiente

Il distretto tessile pratese tra presente e futuro sostenibile (1)
di Renato Cecchi

FIRENZE. La società locale del distretto tessile pratese lotta per avere un futuro. La crisi, evidente da diversi anni, si è aggravata con il crollo della domanda mondiale. Già nel 2008 l´artigianato toscano del tessile registrò -7,7% del fatturato. Ma è l’export che dà gli esiti più negativi (Unioncamere e Unione Industriale pratese): la Provincia di Prato registra -9,0%. Cala anche il numero di addetti alle imprese artigiane, - 2,2% rispetto al 2007. Le previsioni sul fatturato per il I semestre 2009 sono pessime: il saldo tra più e meno passa dal -9% del I semestre 2008 al -33% del I semestre 2009.

Nel IV trimestre 2008 l´export manifatturiero perde il 10,9% (sul IV trimestre 2007), - 6,9% su base annua; anche la meccanica registra -8,5%. Questi i dati provinciali, quelli del distretto sono anche peggio: il tessile (2008 su 2007) perde il 12,3%, tessuti trama-ordito (-14,4%), filati (-2,3%), altri tipi di tessuti (-11,4%). Se questo è lo stato quantitativo delle cose il distretto industriale pratese non può che trovare risposte sul terreno della qualità di ciò che produce e come.

Lo sviluppo qualitativo di un territorio industriale (come ebbe a dire anni fa il professor Giacomo Becattini sul rapporto economia lavoro ambiente e autore, tra l’altro, in epoche non sospette, del saggio “Per un capitalismo dal volto umano” sottotitolo significativo “Critica dell’economia apolitica”, Torino 2004) significa sostanzialmente tre cose: rimanere innovativi sui mercati mondiali, condizioni di vita individuale e associata gradevoli su tutto il territorio, mantenere un ambiente storico-naturale capace di assorbire l’impatto dei processi produttivi senza scaricarli su
altri.

Ciò presuppone un’economia e un modello economico-sociale sostenibili, ove il binomio economico-sociale rispecchia valori e preferenze della società e la sostenibilità fornisce informazioni di natura prevalentemente ecologica: in buona sostanza il sistema sarà sostenibile se in grado di mantenere nel tempo la sua struttura organizzativa a fronte della scarsità delle risorse e delle perturbazioni esterne, mentre una economia può dirsi sostenibile se non compromette la capacità dell’ecosistema di cui fa parte e realizza prodotti (che incorporino sempre più “conoscenza” e comportamenti equilibrati tra impiego di fondi – capitale, lavoro, terra ricardiana – e impiego di flussi – risorse naturali, biodiversità, biosfera, ecc. – e meno materia-energia) senza depauperarsi né scaricare su altri, vicini o lontani, le conseguenze dell’attività, trasformativa. Cambiare, infine, il modello di consumo.

Ma c’è un problema: senza democrazia e rispetto delle regole Costituzionali non si dà la possibilità dello sviluppo sostenibile. In Italia la cosa si fa difficile, avendo scelto gli italiani una maggioranza politica “ademocratica” e un “capo” animato da pulsioni populiste e autoritarie oltre ad essere da sempre fortemente legato alla rendita immobiliare e finanziaria, monopolistica nelle comunicazioni, ecc.

FIRENZE. Nonostante il grave handicap nazionale costituito da un governo la cui capacità è costituita dalla finzione mediatica e dalla “corruzione” profonda, ancorché condivisa, dell’animo dei “sudditi”, la società locale pratese potrebbe avere in sé i numeri per provarci: non sarebbe neanche la prima volta. Tutto sembra remare contro, dalla crisi finanziaria e del sistema finanziario, dalla concorrenza da costi, dal tracollo della domanda, dall’assenza di una risposta unitaria alla crisi da parte dell’Ue che va in ordine sparso alla tenzone internazionale, annichilita dai propri totem neoliberisti che hanno fatto dei salari e dell’inflazione, del patto di stabilità a scapito della domanda veri e propri spauracchi mettendola, di colpo, in una posizione di retroguardia rispetto alle novità che vengono dagli Usa, ma anche dalla Cina.

Così, la sfida fondamentale che la società locale pratese si trova a dover affrontare, nelle peggiori condizioni possibili, pari solo a quelle della ricostruzione del secondo dopoguerra (dalla quale la differenzia però l’attuale mancanza di speranza nel futuro che l’idea stessa di ricostruzione, rinascita, portava con sé), riguarda in primo luogo quale tipo di economia, di sviluppo sociale e qualità ambientale essa voglia per i propri cittadini; in secondo luogo come affrontare, per vincere, la sfida della modernizzazione sociale imposta dal tracollo del liberismo, o meglio, dei sistemi economici a liberalizzazione forzata dei mercati, soprattutto finanziari, delle strutture sociali e dei sistemi di welfare, delle tutele ambientali e della salute (compresa quella alimentare), tenendo presente che, ovviamente, tra le due questioni esiste una stretta correlazione.

Una strategia valida può essere la scelta della qualità, cioè il cambiamento qualitativo: dell’ambiente, del lavoro, del sociale e dell’economia locale. Le ragioni di questa scelta stanno, da una parte, nel riferimento alla qualità della vita in regioni come la Toscana e, dall’altra, nella caducità del concetto di sviluppo e l’illusorietà di quello di crescita.

Il cambiamento qualitativo ha, invece, come paradigma l’abbandono del razionalismo economico basato sulla pulsione egoistica individuale, in quanto è essa che spinge l’economia alla crescita continua della produzione e dei consumi.

Perciò, l’individuazione di nuove basi per l’economia, propone un approccio trans-disciplinare al problema, confrontando la dimensione economica e sociale con quella biologica ed ecologica senza ridurre la dimensione ecologica a quell’economica, previo il chiarimento che Sviluppo Sostenibile consiste in una strategia di tipo economico, sociale e ambientale che fa dell’integrazione delle singole politiche l’asse fondamentale (in una visione sistemica che comporta l’esistenza di meccanismi d’autocorrezione o retroazione); ciò ne costituisce, indiscutibilmente, anche l’aspetto più valido.

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