martedì 5 maggio 2009

Cosa si nasconde dietro il made in Italy?

pubblico dal blog http://robinhood.it/madeinitaly/

un articolo interessante

“Anno zero” di Santoro ha messo in luce attraverso un report che ha ricevuto grossi complimenti dai presenti in studio, una realtà choc: quella di Prato, importante distretto tessile dove un’impresa su otto è controllata dai cinesi.
Naturalmente si tratta di realtà, quella di Prato come tante altre, che si vivono ormai nel nostro paese tutti i giorni, senza quindi nemmeno il bisogno di apprenderne i particolari attraverso la televisione, la quale fa comunque bene a riproporle come richiamo.
Una recente statistica elaborata da Il Sole 24 ha fornito alcuni dati sul fenomeno: le aziende che fanno capo ad imprenditori cinesi rappresentano il 12,5% del totale (un’azienda su otto parla cinese). Hanno un turnover del 60% contro il 15,7% delle italiane. Il giro d’affari è di 1,8 miliardi di cui un miliardo realizzato in nero. L’export rappresenta il 70% del fatturato.
I cinesi comprano i tessuti prevalentemente dalla Cina (quelli italiani sarebbero costosi) e hanno ormai un’organizzazione autonoma in quanto a trasporti e logistica. Il dato che colpisce maggiormente è il costo del lavoro per unità di prodotto, pari per le aziende cinesi al 42,7% contro il 73,2% del distretto tessile ufficiale. Il 46% dei contratti di lavoro dura nelle imprese cinesi meno di sei mesi. La chiusura di un’azienda è preceduta dalle dimissioni dei dipendenti. Meglio non parlare delle condizioni – anche igienico sanitarie –in cui i cinesi espletano il lavoro in fabbrica per ben sedici ore al giorno.
Grossa, come innanzi detto, l’evasione delle tasse (quella suii rifiuti raggiunge l’80%): un paradiso fiscale.
Il distretto tessile cinese non ha alcun punto di contatto con il distretto tessile pratese; d’altronde è molto difficile la coesistenza tra chi lotta giorno per giorno per non perdere punti di competitività e chi infrange tutte le regole e grazie a questo si arricchisce e continua ad espandersi nel nostro paese.
Il segreto di questa economia si basa quindi sul minore costo rispetto ai lavoratori italiani con una produttività migliore che in Cina, basata sul mancato rispetto delle regole. Il fenomeno sta proprio in questi aspetti: moda economica con la quale vengono inondati i mercati ispirandosi ai modelli delle grande sfilate, con l’aiuto di disegnatori italiani che garantiscono il gusto e l’esperienza necessari.
La prima domanda che ci si pone è la seguente: dove sono finiti i controlli? I cinesi, il cui insediamento nel nostro paese è incominciato negli anni 90, potrebbero pur concorrere allo sviluppo del nostro paese, rappresentando quindi un’opportunità e non un problema, a condizione che rispettino però le regole.
Un recente blitz dei carabinieri di Prato del 24 marzo scorso ha portato all’arresto di quattro imprenditori cinesi con le accuse di immigrazione clandestina e sfruttamento di manodopera straniera irregolare. Gli stessi sono stati anche denunciati per violazioni urbanistiche avendo creato numerose infrastrutture all’interno degli opifici.
La speranza – sarebbe tuttavia anche un diritto, soprattutto dei seri imprenditori italiani – è che il blitz non rimanga un fatto isolato è che le istituzioni incomincino ad eseguire finalmente gli auspicati controlli delle cennate illegali realtà, contribuendo quindi al rilancio del vero made in Italy, quello “by italian people”.

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