venerdì 27 febbraio 2009

Tessile: Lo Stato ci aiuti o si chiude !

L'Sos del tessile: "Lo Stato ci aiuti
o qui si chiude"

Per la crisi internazionale il distretto tessile di Biella vive il suo momento più difficile da sempre



GIOVANNI CERRUTI
INVIATO A BIELLA
La “Rammendatura Moderna” chiude questa mattina, altri trenta a casa, e Alberto Platini si tortura la sua bella sciarpa di seta. E’ nera, come l’umore di questi duecento che alle due del pomeriggio si son dati appuntamento nella sala dell’Auditorium di Città Studi. Arrivano da Prato, da Carpi, da Vicenza e Schio, da Como e Novara. Sono le facce e i nomi del tessile allo sbando. Sergio Scaramal, il presidente della provincia di Biella, ha appena parlato di «un imprenditore che ha il 70% di ordini in meno». E’ Alberto Platini, 43 anni, vice presidente degli industriali di Biella. «E non sono l’unico...».

Aspettano notizie da Roma, proprio adesso c’è un incontro al Ministero. «Perché per l’auto sì, per l’elettrodomestico sì, per Alitalia sì, per il mobile pure e per noi niente?». Luciano Donatelli, 60 anni, il presidente degli industriali, ha scritto al premier e ai giornali: «Non chiediamo favori, ma almeno 18 mesi di attenzione». Solo a Biella rischiano il lavoro in 20 mila. Risposte, finora, nessuna. «La nostra è una crisi che non si vede, e dunque è molto più pericolosa. E andrà avanti almeno fino al 2010».

Dimenticarsi, almeno qui, il bel mondo della moda, le griffe, le modelle, le sfilate e le feste. E’ un’altra storia. Ed è una crisi che tocca tutte le grandi famiglie, gli Angelico e i Cerruti, Loro Piana e Piacenza, Reda e Zegna. «L’ultima azienda che non era ricorsa alla cassa integrazione ordinaria era Piacenza - dice Gianfranco Stoppa, segretario dei tessili Cgil del Piemonte -. L’ha appena chiesta». E a loro, ai grandi, va ancora bene. «La maggior parte delle aziende sono piccole e non possono accedere alla cassa - spiega Vittorio Barazzotto, 50 anni, il sindaco -. Lavoratori ad alta specializzazione che escono e non torneranno più».

A Prato in dodici anni le aziende tessili si son dimezzate, da 12 mila a 6 mila. L’altra sera 200 artigiani dell’indotto, riuniti dal sindaco, si son detti pronti alla resa: «Consegneremo le chiavi alle banche». Per protesta stanno preparando uno striscione per la manifestazione di domani: sarà lungo un chilometro. Da Carpi, Vicenza, Como, Novara, stessi bollettini da disfatta. Mercedes Bresso, governatrice del Piemonte, tenta di tirar su il morale: «Il tessile è il 10% del valore aggiunto nazionale ed è l’immagine dell’Italia». Già, ma è il tessile o la moda, è l’industria o la passerella?

Alberto Platini sta pensando alla sua “Rammendatura Moderna” che chiude questa mattina. Chissà dove sono finiti i tessuti che le sue operaie lavorano, alla Casa Bianca, al Cremlino, a Buckingham Palace, in Vaticano, da qualche Emiro? «Ho quattro aziende, 120 dipendenti, quasi tutte donne. Il fotovoltaico. Le pari opportunità. L’attenzione all’ecologia. L’innovazione. La ricerca. Insomma, ho sempre fatto tutto e di più. Ma ho il 70% degli ordini in meno e l’Irap da pagare. Morale, mi dovrò rivolgere a una banca e c’è chi sta peggio di me: una collega mi ha appena detto che non sa se riesce ad arrivare a fine marzo».

Chiedono un fisco più leggero, magari la «deducibilità per le spese di prodotti del tessile». La «tracciabilità», in modo che si sappia per certo se un prodotto è davvero made in Italy. Quando finisce questo «Textile day» biellese, da Roma arriva qualche buon segnale: all’incontro con i rappresentanti del settore, sindacati compresi, c’era il ministro Scajola in persona. Non se l’aspettavano. «Si è impegnato a dare risposte in tempi rapidi», fa sapere Michele Tronconi, presidente di Sistema Moda Italia.

Ammesso che non sia già troppo tardi, o che possa bastare. Luciano Barbera, 70 anni, non riesce a mostrarsi ottimista. «I miei 120 dipendenti in questo mese hanno già fatto una settimana di cassa integrazione», dice. La crisi avanza e si abbatte anche su questo signore con clienti illustri, da Brioni a Chanel, «ai miei altri 200 sparsi nel mondo». Ha crediti per 2 milioni e 600 mila euro, il 70% in Usa. «Lo Stato dovrebbe dare commesse e nuova liquidità a chi non ha delocalizzato. E sempre lo Stato dovrebbe garantire l’autenticità dei nostri prodotti».

giovedì 26 febbraio 2009

Tessile, il 2009 sarà orribile

Dati preoccupanti dalla Sezione serica dell'Unione Industriali e dal centro studi di Sistema moda Italia
A inizio anno calano subito il fatturato (-10,2%) e gli ordini (-7,8%)


Il 2008 è stato un anno pessimo per la seta lariana. È iniziato male, con una brusca frenata sull’andamento delle vendite, e si è chiuso peggio, con un pesante tonfo su tutti i fronti, eccezion fatta per gli accessori femminili. Il 2009 si prospetta ancora più negativo, con consistenti flessioni stimate nei primi mesi sul fronte sia del fatturato (-10,2%) sia degli ordini raccolti (-7,8%). I dati, raccolti dalla Sezione serica dell’Unione Industriali di Como e dal centro studi di Sistema moda Italia (Smi), sono inequivocabili e riflettono la crisi economica che ha colpito i principali mercati del mondo.
Le tessiture seriche italiane, che oltre alla seta lavorano anche le fibre chimiche e sono in gran parte concentrate in provincia di Como, hanno chiuso il 2008 con una diminuzione complessiva del fatturato del 5,3% (rispetto all’anno precedente) e con una flessione dei quantitativi venduti di pari entità (-5,2%). E proprio l’ultimo trimestre dello scorso anno ha dato la spallata finale alle speranze dell’industria tessile comasca di riuscire a contenere gli effetti negativi della crisi. «Tra ottobre e dicembre - spiegano gli esperti di Smi e Unione Industriali - si è verificato un vero e proprio cedimento. Nel corso del quarto trimestre, infatti, il fatturato è diminuito dell’11,5% (rispetto allo stesso periodo del 2007, ndr), con un mercato nazionale in flessione del 15,3% e un calo delle vendite oltreconfine meno accentuato (-8%). Gli ordini raccolti hanno registrato una contrazione del 19,1%, riflettendo un deterioramento del quadro congiunturale che si è ulteriormente aggravato agli inizi del 2009»
Il 2008 si era aperto tutto sommato in positivo, con fatturati ancora in crescita (+1,5%) anche se in frenata rispetto ai risultati del 2007, quando erano aumentati del 4,2%. I segnali negativi, però, erano già emersi. Nei primi tre mesi dello scorso anno la raccolta degli ordinativi era infatti stata fiacca: -4,9%. A partire dal secondo trimestre si è poi innescata una vera e propria «inversione di tendenza rispetto ai buoni risultati conseguiti nel corso del 2007», come precisa l’indagine Smi-Unione Industriali. Il tonfo, come detto, si è materializzato nell’ultimo trimestre. Ed è stato un crollo che ha interessato soprattutto i tessuti per abbigliamento femminile e quelli per cravatteria, mentre gli accessori - dai foulard agli scialli, dalle stole alle sciarpe di seta - hanno retto, nonostante la crisi.
In particolare, il tessuto per abbigliamento femminile, nel quarto trimestre 2008, ha evidenziato una caduta di fatturato pari al 12% (-15,9% sul mercato nazionale, -8,8% all’estero). Su base annua la flessione dei ricavi è stata pari al 5,7% (-9,8% in termini di volumi venduti). La dinamica degli ordini, nel periodo ottobre-dicembre 2008, è stata pesantemente negativa (-19,7%).
Peggio hanno fatto le stoffe per cravatte che nell’ultimo trimestre del 2008 hanno registrato ricavi in calo del 15,5% (-10,7% in quantità). La flessione del fatturato su base annua ha raggiunto il 9,7% (-17,4% in Italia, -12,8% sui mercati esteri). La caduta ha interessato sia l’articolo stampato (-11,5%) sia quello tinto in filo (-16,8%). Decisamente preoccupanti le prospettive per le cravatte, con un crollo degli ordinativi del 23,6% nei primi tre mesi di quest’anno.
L’accessorio tessile femminile, infine, ha risentito del contesto economico molto sfavorevole, ma è riuscito a mantenere risultati positivi anche nel corso dell’ultimo trimestre del 2008 (+1,2% il fatturato), con il mercato estero cresciuto a un ritmo ben più accelerato (+4,9%) rispetto al mercato nazionale (+0,7%). «Il comparto - sottolineano gli esperti di Smi-Unione Industriali - ha chiuso il 2008 con un incremento annuo del fatturato pari al 4,9% (+8,9% i volumi venduti). La raccolta ordini nell’ultimo trimestre è stata però negativa (-4,7%), come già riscontrato per cravatteria e abbigliamento, ma in termini decisamente più contenuti».


Marcello Dubini

mercoledì 25 febbraio 2009

Il tessile di Prato chiede la sospensione dell'Irap

Il tessile di Prato chiede la sospensione dell'Irap
di Cesare Peruzzi





Aiuti alla filiera del tessile abbigliamento, così com'è stato fatto per i settori dell'auto e degli elettrodomestici. Moratoria di due anni per gli studi di settore. Sospensione dell'Irap nel 2009. Il distretto industriale di Prato è in apnea e chiede l'ossigeno necessario per non morire aspettando la ripresa. Che per ora non arriva. «I portafogli ordini delle imprese sono quasi vuoti - spiega Riccardo Marini, presidente dell'Unione industriale pratese - dopo un 2008 molto negativo, stiamo affrontando il 2009 senza alcuna visibilità, in ritardo di almeno un mese sull'andamento dei tradizionali ordini invernali e con la prospettiva che a marzo finiscano i fondi per sostenere l'occupazione, soprattutto quella delle aziende artigiane».

Domani è in programma un incontro romano tra i vertici del Sistema moda Italia (il presidente Michele Tronconi) e i ministri Scajola, Tremonti e Sacconi. Sabato, a Prato, è stata indetta una grande manifestazione che porterà in piazza migliaia di persone, a cui parteciperanno insieme agli imprenditori, agli amministratori locali e ai lavoratori del distretto toscano anche rappresentanti degli altri poli del tessile abbigliamento nazionale (Biella, Como, Vicenza, Carpi), per chiedere più attenzione da parte del Governo e delle Regioni.

«Rischiamo di perdere pezzi della nostra filiera produttiva: è indispensabile salvare i gruppi che hanno fatto investimenti, per poter garantire il lavoro ai contoterzisti che altrimenti rischiano di scomparire», dice Massimo Logli, presidente della Provincia di Prato, promotore un anno fa di un tavolo di concertazione tra le forze sociali economiche e di governo locale per affrontare la crisi. «Gli aiuti e i sostegno normali oggi non bastano più - aggiunge - servono strumenti straordinari e la collaborazione di tutti».
Negli ultimi otto anni, il distretto pratese ha perso più di un miliardo di fatturato (sceso a quota 3,7 miliardi, con una contrazione del 7,1% nel 2008, quando l'export è crollato del 10,3%). Nello stesso periodo sono saltati anche 10mila posti di lavoro (1.129 solo l'anno scorso) e le imprese tessili attive sono diminuite del 37,1%, sempre dal 2001 a oggi. In questo momento, sono 2mila i lavoratori in cassa integrazione ordinaria, 600 in straordinaria e quasi 1.200 quelli che usufruiscono dei contributi dell'Ente regionale bilaterale per gli artigiani Ebret.

«Se non arriva in tempi rapidi il decreto attuativo del Governo sui fondi per gli ammortizzatori sociali, rischiamo di perdere altri mille posti di lavoro nelle prossime settimane», sottolinea Manuele Marigolli, segretario generale della Cgil di Prato. Il sistema moda toscano, come registra l'indagine congiunturale Confindustria-Unioncamere, arriva da otto trimestri negativi consecutivi (nel quarto trimestre 2008 la produzione manifatturiera regionale è calata del 9,2%). «Serve dare attuazione ai protocolli firmati con le banche per far arrivare il credito alle imprese», dice Antonella Mansi, presidente di Confindustria Toscana. «Sono da rivedere gli studi di settore», commenta Pierfrancesco Pacini, leader di Unioncamere. E di «moratoria di due anni per gli studi di settore» parla Marini, che chiede anche la «sospensione del pagamento dell'Irap nel 2009. Servirebbe a dare un po' di liquidità alle aziende», puntualizza.

domenica 22 febbraio 2009

La filiera tessile biellese a rischio frantumazione

Biella: distretto tessile a rischio (Repubblica)


FTA Online News

Secondo il presidente degli industriali di Biella Luciano Donatelli servono circa 250 milioni di euro per salvare il settore tessile della cittadina piemontese. A Biella viene tuttora prodotto il 40% dei filati di lusso del mondo e in questo distretto opera anche il gruppo Parà Temposte i cui tessuti sono stati scelti per l'arredamento dello Studio Ovale di Barack Obama. Un patrimonio che però, a causa della crisi, adesso potrebbe disperdersi per sempre. Lo riporta stamane Il Sole 24 Ore. (GD)

giovedì 19 febbraio 2009

Sciopero a Prato contro la crisi nel Tessile

Tessile/ Mobilitazione a Prato il 28 contro crisi, tutto pronto
Uno striscione lungo un chilometro girerà per il centro
postato 13 ore fa da APCOM

Prato, 19 feb. (Apcom) - Tutto pronto per la mobilitazione del distretto tessile di Prato contro la crisi: è lungo un chilometro lo striscione che sarà il simbolo della protesta, una fascia laterale rossa, l'altra verde e una fascia centrale bianca con la scritta ripetuta molte volte 'Prato non deve chiudere', lo slogan scelto dal Tavolo di Distretto per la sollevare il caso Prato e trovare interlocutori in Regione e al Governo. Sabato 28 febbraio lo striscione sarà srotolato in piazza Mercatale seguendone i contorni: sorretto da oltre mille persone, attraverso via San Silvestro entrerà in piazza e da qui in via Ferrucci e in viale della Repubblica fino all'Istituto Buzzi. Biella, Como, Vicenza e Carpi e con loro altre città tessili del centro-nord, saranno presenti con gonfaloni e proprie rappresentanze istituzionali. C'è infatti un accordo fra le città tessili per richiedere all'esecutivo nazionale di essere inserite nel pacchetto di 'aiuti di Stato' a sostegno dell'economia, come avvenuto per il settore dell'auto.
"Dobbiamo far sentire la nostra voce adesso, perché fra qualche mese sarebbe tardi", sottolineano tutti, amministratori e rappresentanti delle forze economche e sociali che prendono parte al Tavolo. La mobilitazione comincia alle 9 del mattino di sabato 28. Apriranno la giornata il presidente della Provincia Massimo Logli, il sindaco Marco Romagnoli e i rappresentanti di industriali, artigiani e sindacati. Una volta che lo striscione avrà occupato piazza Mercatale, entrerà in azione un elicottero che scatterà foto e farà immagini del simbolo della protesta. Nella piazza, all'interno del parcheggio, sarà montata anche una scritta, ancora lo slogan 'Prato non deve chiudere', realizzata con elementi utilizzati nelle imprese tessili. Va avanti anche il progetto di confezionare un abito per il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, con l'impegno del Tavolo di Distretto a consegnarlo al Presidente in persona insieme ad un appello per Prato.

martedì 17 febbraio 2009

Tessile, piove sul bagnato : il caso Ittierre

Il caso Ittierre-Ferré sta mettendo a rischio decine di aziende. E l’allarme diventa paura
Prato, un colpo da ko
Carlo Bartoli
Se saltano le grandi griffe, affonda tutto il distretto. Il dissesto finanziario del gruppo smuove anche il governo: ma comunque gli effetti saranno pesanti PRATO. Nel giro di tre giorni, il ministro Claudio Scajola ha nominato i tre commissari incaricati di salvare Ittierre, la società che produce direttamente o su licenza grandi griffe come Ferré, Malo, Exté, Costume National, Just Cavalli.
A Ittierre, che ha sede in Abruzzo, guardano con apprensione non soltanto i piccoli azionisti di It Holding e i sottoscrittori di 108 milioni di bond, ma soprattutto l’intero distretto pratese.
Effetto domino. Dietro il disastro finanziario di It Holding, che dopo aver fatto scorpacciata di griffe affermate e di marchi innovativi e in ascesa si è trovata a non avere i polmoni finanziari per far girare la società, c’è il dramma, diretto, di una sessantina di fornitori pratesi e quello, indiretto, di centinaia di contoterzisti. Difficile stimare quale sia la reale entità del danno per le aziende pratesi che con l’ammissione di Ittierre alla procedura di amministrazione controllata si sono viste congelare gli ingenti crediti vantati e che soprattutto rischiano di perdere commesse importanti, sia sotto il profilo economico che dal punto di vista del prestigio. Qualcuno, certamente, rischia il black out finanziario anche se Riccardo Marini, presidente degli industriali pratesi, guarda con maggiore preoccupazione al futuro: «A protezione dei crediti non saldati - spiega - ci sono anche le polizze assicurative e le difficoltà in cui versava Ittierre erano note da tempo, ma a mancare saranno commesse significative. I veri effetti si vedranno tra qualche mese e non saranno circoscritti tra le sessanta e più aziende fornitrici».
In un distretto (vedi altro servizio) che in questi anni è stato falcidiato dalla concorrenza spietata dei Paesi emergenti e ora alle prese con la crisi mondiale, aggiunge Marini «questa è un’ulteriore batosta che proprio non ci voleva».
L’intera filiera trema e soprattutto si pensa a cosa potrebbe accadere nel campo delle grandi griffe. «Se non ci sarà un intervento efficace - commenta Manuele Marigolli, segretario della Camera del lavoro di Prato - si rischia di perdere un pezzo importante del made in Italy. Le griffe fanno quasi tutte capo al nostro distretto, perché solo da noi c’è la possibilità di gestire piccoli lotti come servono ai grandi stilisti. La nostra flessibilità ci permette di seguire la volubilità della grande moda». Ma adesso, se si dovessero aprire altre situazioni di difficoltà tra le grandi griffe, per Prato sarebbe un ko.
«Governo svegliati». I tre commissari nominati da Scajola hanno il compito di cedere gli asset più appetibili, a cominciare da Ferré, ma non sarà facile e neppure veloce rimettere in moto un gruppo che ha quasi 300 milioni di debiti e che viene valutato poco meno di 45. Data per scontata la fase di congelamento dei crediti e il temporaneo blocco di alcune linee, se i commissari non riusciranno a rimettere rapidamente Ittierre sulle rotaie, a Prato la botta sarà davvero dura, soprattutto in una fase di crisi che porta anche i migliori a contrarre i volumi di produzione. Per superare il momento più duro della crisi occorre che il governo si muova per mettere in campo degli interventi straordinari di sostegno al tessile e da tempo Prato ha presentato a Berlusconi alcune richieste, rimaste finora senza un cenno di risposta.
Si chiede che venga rifinanziata la cassa integrazione straordinaria in deroga per artigiani e piccole imprese, che venga prorogata di un anno l’indennità di mobilità per i lavoratori già iscritti e prolungata per chi perde il posto nei prossimi due anni, che vengano estesi alle aziende artigiane di tipo familiare gli indennizzi per i negozi in crisi. Prato si è mossa per tempo e le sue richieste sono condivise non solo dalle altre città tessili, ma anche dalle grandi imprese del settore, tanto che adesso anche il presidente della Camera della moda Giuseppe Modenese chiede apertamente un intervento del governo a salvaguardia del settore. Purtroppo, dai primi di dicembre il governo non ha trovato il tempo neppure per organizzare un incontro con Prato, che rimane il distretto tessile più importante d’Italia.
Emergenza. «Il governo - chiarisce Marigolli - sta pensando alla riforma degli ammortizzatori sociali, ma forse non si è capito che non c’è tempo da perdere. Per salvare il salvabile bisogna utilizzare gli strumenti che già ci sono, senza aspettare una riforma, altrimenti è a rischio l’integrità della filiera». Il caso Ittierre fa tornare alla ribalta la necessità di introdurre anche dei correttivi che non hanno un costo per la finanza pubblica. «La riforma della normativa sui fallimenti e sulle procedure concorsuali ha indebolito il sistema. Quando si permette di costruire delle società - conclude Marigolli - per rilevare la parte buona delle imprese e lasciare i debiti nelle bad company, quando non si trova il modo di garantire i crediti dei fornitori e dei terzisti si mette a rischio l’indotto.»(13 febbraio 2009)Torna indietro

mercoledì 11 febbraio 2009

Manifestazioni ovunque ma in Italia tutti zitti....

GRECIA, BULGARIA, LITUANIA, LETTONIA…

17.01.2009
Se ne parla poco eppure accade. Tutti gli occhi del mondo sono rivolti verso Gaza e Israele. Non proprio tutti. L’Europa dell’Est è in fermento. Le proteste avvenute recentemente in Grecia forse erano solo un avvertimento. Da quella crisi è scaturito un rimpasto di governo, anche se il primo ministro ha rifiutato di dimettersi.

Per paradosso, la mancata fornitura di gas ha fatto accendere la fiamma della protesta, in Bulgaria. Ma anche paesi che non hanno sofferto di questa crisi, ovvero i paesi baltici, si stanno ribellando contro i rispettivi governi. Colpa la crisi, che ha avuto anche più grande effetto a causa della crescita instabile e la corruzione diffusa. Partite dalla Lettonia, ora stanno infiammando anche la vicina Lituania.

Manifestazioni in Bulgaria

Sono al terzo giorno di protesta i manifestanti nella capitale Sofia. Già stretto il paese dalla mancanza di gas, ora più di duemila studenti, ambientalisti e agricoltori si sono riuniti davanti al parlamento per chiedere riforme per l’istruzione superiore, sussidi statali e, in primis, la dimissione del governo. Quello della Bulgaria è indicato dagli osservatori europei come uno dei più corrotti, e per questo ha rischiato di uscire dalle trattative per l’ingresso nella Ue più di una volta. In breve la protesta è degenerata in scontri con le forze dell’ordine che, su ordine del vicesindaco, hanno usato manganelli e lacrimogeni per disperdere la folla.

Secondo i manifestanti, gli episodi di violenza sono stati preparati e pilotati dalla polizia, che ha ignorato le frange più violente della protesta per attaccare il resto del corteo. Circa 170 persone, compresi 22 minorenni, sono state arrestate. Venti persone, tra cui 7 poliziotti, sono rimaste ferite. Oggi avrà luogo una nuova protesta. Le misure di sicurezza saranno rinforzate. Ci sono quattro checkpoint di controllo dove la polizia potrà ispezionare pacchi sospetti e borse e chiederà le carte d’identità. Chiunque abbia meno di 14 anni sarà fatto entrare solo se accompagnato da un adulto.

Gli agricoltori

I produttori di grano si sono aggiunti Martedì alla protesta per sostenere la loro domanda dell’immediato pagamento dei sussidi nazionali dell’anno passato, e chiedono che vengano aggiunti quelli del 2009 nell’attuale bilancio . Tutte le 18 compagnie di produzione hanno preso parte, e oltre 2000 veicoli agricoli sono stati usati. I sussidi si aggiungerebbero a quelli provenienti dall’Unione Europea, e sarebbero usati per tutti i settori agricoli e non solo per i produttori di grano. Inoltre si sono lamentati cdella vendita di grano di quest’anno ad un prezzo di un terzo inferiore al prezzo di mercato. Continueranno a protestare finché le loro richieste non saranno soddisfatte.

Ritorno al nucleare

Il primo ministro bulgaro Stanishev ha annunciato venerdì che si sta facendo il possibile per riattivare una delle Unità degli Impianti di Energia Nucleare “Kozlodoy”. Se la crisi del gas continuerà, l’unità potrà essere riattivata in 45 giorni al massimo, aggiungendosi alla Slovacchia che pure ha proposto questa soluzione temporanea. L’UE protesta che ciò vìola i trattati di entrata nell’Unione, ma questi danno il diritto di prendere misure di questo tipo in una situazione di crisi. Stanishev sta considerando i rischi politici dell’azione e ha dichiarato che non ha l’intenzione di agire unilateralmente.

Lettonia

Una manifestazione contro il governo, inizialmente pacifica, è poi degenerata in sommosse e atti di vandalismo, martedì sera, nella capitale Riga. Aspri scontri con la polizia si sono avuti nei pressi del parlamento, circondato dalle forze dell’ordine per prevenire un assalto della folla. Era dal 1991, anno del collasso dell’Unione Sovietica, che non si vedeva una manifestazione di piazza di questo genere. La polizia ha dichiarato lo stato di emergenza.Venticinque feriti e 106 arresti è un primo bilancio.

I manifestanti, convocati dall’opposizione, chiedono le dimissioni del premier Godmanis e lo scioglimento del parlamento: i quattro partiti della maggioranza sono accusati di immobilismo e di incapacità politica. La Lettonia è in preda ad una grave crisi economica e per arginare la recessione il Fondo Monetario Internazionale le ha stanziato 7,5 miliardi di euro.

Già nel 2007 la piazza costrinse l’allora premier alle dimissioni, ma la maggioranza che lo sosteneva è rimasta al potere. Ora, una folla di 10.000 persone si è incontrata grazie alla chiamata dei partiti politici di opposizione, i sindacati e organizzazioni non governative contro le misure del governo di scaricare l’intero fardello della crisi economica in Lettonia sulle spalle della popolazione. Si è protestato anche contro la corruzione e l’incompetenza. Il governo lettone è composto da una instabile coalizione di sei partiti di destra, capitalisti ed estremamente nazionalisti.

Alla fine della dimostrazione, un numero imprecisato di protestanti ha lanciato palle di neve e pietre verso gli edifici governativi rompendo alcune finestre. La polizia ha quindi risposto violentemente.

In un annuncio pubblico mercoledì, il presidente Lettone Zatlers ha denunciato le manifestazione, ma ha anche ammesso che la fiducia nel governo, compresa la sua abilità di contrastare la crisi, è “collassata in modo catastrofico”. Ha detto che cercherà dunque “nuove facce nel governo” per calmare il malcontento generale.I cambiamenti saranno conclusi per il 31 Marzo, ha affermato, o proporrà un referendum per sciogliere il parlamento. Un membro dell’opposizione ha fatto cenno alla radicalizzazione di alcune parti della popolazione, facendo un parallelo alla crisi in Grecia, con le manifestazioni contro la stagnazione economica, la povertà crescente , la corruzione diffusa e la disintegrazione del sistema educativo.

Lituania

Si è presto diffusa la voce della protesta nei vicini di casa, ed è bastata una scintilla per far divampare le manifestazioni. A Vilnius la polizia lituana ha dovuto usare gas lacrimogeni e proiettili di gomma venerdì per disperdere la folla dal parlamento dello stato Baltico, dopo che la gente ha iniziato a lanciare sassi e bottiglie all’edificio durante la manifestazione anti - governativa.

La folla era parte di una più ampia dimostrazione chiamata dai sindacati quando il governo di centro-destra, al potere solo da Ottobre, ha alzato le tasse e tagliato le spese dopo che la flessione economica ha colpito i fondi statali. Cinquemila persone erano presenti totalmente, ma i problemi sembra siano venuti da un gruppo di circa 200 persone tra le 2000 presenti fuori dal parlamento. Dopo che è intervenuta la polizia anti-sommossa, è seguito uno stallo tra questa e i manifestanti.

Un’altra parte della folla ha marciato lungo la via principale verso l’edificio governativo principale, ma la dimostrazione lì è stata pacifica. Alcuni chiedono “Educazione gratis per ognuno”.

Autore: Alex Buaiscia
Fonte: Reset Italia

martedì 10 febbraio 2009

Perchè il tessile non è considerato dal Governo nè di destra nè di sinistra?

Tessile in crisi, in bilico 80 fabbriche (la Repubblica)


FTA Online News

Una crisi annunciata dal cattivo andamento delle sfilate di Milano e Roma quella del settore tessile. Lo evidenzia stamane il quotidiano la Repubblica che conta al 31 gennaio 80 aziende in crisi nel comparto, di queste 29 alla fine di gennaio avevano già fatto ricorso a contratti di solidarietà e altre 51 avevano fatto richiesta. Complessivamente i lavoratori interessati per queste 80 fabbriche sono più di 6.700. Se si allarga lo sguardo all'intero settore la crisi, però, appare ancora più profonda perché le imprese che fanno ricorso alla cassa integrazione ordinaria non per ristrutturarsi ma per far fronte al calo della domanda impiegano decine di migliaia di lavoratori. In totale il settore tessile impiega in Italia circa 780 mila persone di cui già 30 mila sarebbero state coinvolte, negli ultimi 2 mesi dalla cassa integrazione. (GD)

venerdì 6 febbraio 2009

tessile a picco

ANSA) - VENEZIA, 6 FEB - Gli ordinativi per il settore tessile stanno andando a picco, del 30-60%, ma per il governo esistono 'figli e figliastri'. Lo ha sottolineato il vicepresidente di Confindustria, Paolo Zegna, commentando gli incentivo per l'auto. I fatti dimostrano che l'interesse e' 'solo per chi alza di piu' la voce', eppure tessile e abbigliamento sono una 'colonna portante dell'economia'. Nel 2008 gli ordini sono diminuiti del 4-5%, ma oggi il crollo e' del 30-60%.

mercoledì 4 febbraio 2009

Difendiamo il made in Italy ?

DIFENDIAMO E SOSTENIAMO IL “MADE IN ITALY”

“MADE IN ITALY”: vera, grande risorsa del nostro Paese.
Un prodotto di alta qualità, forte immagine e assoluta affidabilità, che premia la nostra economia, la bilancia dei pagamenti e consolida la nostra immagine all’estero.

Noi fieri di offrire uno spazio di tutto rispetto al nostro prodotto, ne garantiamo l’autenticità e lo proponiamo al giusto prezzo, nella certezza di svolgere appieno il nostro compito.

A differenza di chi si fa travolgere dall’onda mediatica e va alla ricerca del prezzo più basso da offrire o del marchio più noto da accaparrare, noi poniamo attenzione e promuoviamo la valorizzazione delle nostre imprese ed in particolare le piccole e preziose realtà produttive.

Una scelta oculata e coraggiosa che il consumatore attento e informato saprà certamente apprezzare perché va ben oltre una semplice posizione a tutela di interessi commerciali; è un invito chiaro e forte a sostegno della nostra creatività e della nostra identità, lungi da ogni fanatismo sciovinista.

Una lecita e democratica contrapposizione alle “importazioni allegre” e ai grossi marchi internazionali che in un “mercato libero” e poco rispettoso, finiscono per imporre stili di vita che non ci appartengono affatto e opinabili ibridi che non appartengono a nessuna cultura, se non alle esigenze di economie di scala.

Ne scaturisce una monotona standardizzazione a livello globale, che appiattisce ogni stimolo naturale, vizia le nostre menti e spegne ogni lecito desiderio di esprimere liberamente la propria personalità.

Una trappola infernale, ancora più insidiosa in un periodo di recessione, che disorienta il consumatore tra un prodotto a prezzo troppo basso ed irresistibile, che mette in ginocchio la nostra economia, e un altro, sostenuto da potenti mezzi di informazione e di persuasione che minano la nostra libertà.

E’ opportuno sottolineare che sottraendo risorse vitali, a quella pluralità di piccole e medie aziende, magistrali officine del MADE IN ITALY, viene a crollare un equilibrio di mercato che ha assicurato, da sempre, tranquillità al consumatore, una migliore redistribuzione del reddito e una solida garanzia per la democrazia.

Il circolo vizioso, ogni giorno più pericoloso, è alimentato, purtroppo, dallo stesso consumatore ignaro, che si trova ad essere inevitabilmente vittima dello stesso. L’assurdo sta nella totale e puntuale assenza della “politica” e degli organi pubblici di informazione che disattendono, gravemente, il loro ruolo a tutela del più debole.

Auspichiamo che il nostro “Bel Paese”, come ogni paese che voglia sentirsi veramente libero, oltre che sbandierare la produttività delle imprese, abbia la volontà e la forza di assicurarsi la pluralità di impresa come binomio essenziale di concretezza e credibilità.

Noi crediamo in una sana e necessaria politica di informazione ed educazione pubblica che indirizzi il consumatore, continuamente ignorato e raggirato, verso una scelta responsabile e compatibile con le sue lecite aspettative di libertà.

Per queste ragioni comprare il “PRODOTTO ITALIANO”, conviene sempre e comunque.

Tessitura La Colombina
Giuseppe e Mario Colombo