mercoledì 30 dicembre 2009

La vittoria di Pirro

La legge 1930 approvata in data 10 dicembre dalla Camera dei deputati viene indicata come chiarificatrice per una corretta indicazione del marchio "MADE IN ITALY".

Leggendo attentamente gli articoli 4 e 5 si capisce che questa legge non fa altro che indebolire la filiera tessile pratese e rinforzare le grandi firme.

L'art. 4 sancisce che l'impiego dell'indicazione Made in Italy è permesso esclusivamente per i prodotti che hanno avuto almeno due delle fasi di lavorazione nel territorio italiano, mentre l'art. 5 precisa che nel settore tessile per fasi di lavorazione si intendono la filatura, la tessitura, la nobilitazione (rifinizione e lavorazioni collegate) e la confezione compiute nel territorio italiano.

Questo significa che basta importare un tessuto dai paesi emergenti, rifinirlo e confezionarlo in Italia perché il capo finito rechi l'indicazione Made In Italy. Traducendo basta che un'impresa con sede e laboratori in italia, compri il tessuto in Cina, lo rifinisca e confezioni in Italia per poi rivenderlo "targato" Made in Italy.

Come al solito la classe politica è lontana anni luce dal mondo del lavoro. Attualizzando questa norma nella realtà pratese ci si accorge come la legge che porta la firma del leghista Reguzzoni con confirmatario il pratese PD Lulli finisca per favorire le aziende italo/cinesi che i leghisti di Prato additano come causa di tutti i mali del nostro distretto.

La conseguenza ancor peggiore di tale legge è che le filature, le tessiture, le tintorie che duramente resistono sul nostro territorio sono ulteriormente svantaggiate ed invitate al fallimento da questa abominevole legge. Infatti per dotarsi del “made in Italy” alle grandi firme non importerà assolutamente che queste lavorazioni avvengano in Italia, ma basterà loro rifinire e confezionare in Italia. Il resto verrà dai paesi emergenti o dove molte ditte italiane hanno delocalizzato causando i licenziamenti a "raffica" e il ricorso alla cassa integrazione che finirà per gravare sulle nostre tasche.

Questo bel “pacco” di Natale è il massimo che i signori politici, leghisti in primis, sono riusciti a regalarci. Saranno finalmente contenti, in un solo colpo si ammazza definitivamente questa fastidiosa bestia del distretto tessile pratese. La Lega ed il PD hanno firmato la nostra condanna a morte.

Se questo è il meglio che son riusciti a fare, ma soprattutto se ci aspettiamo un aiuto da gente che del nostro lavoro non ci capisce un bel niente, c'è davvero da pensare seriamente di chiudere baracca e burattini.


Invece no! Dobbiamo smettere di lagnarci e riattivare il cervello. Non a caso Prato è diventato un esempio da studiare alle Università. Il distretto pratese ha funzionato non perché qualcuno aveva la bacchetta magica o il fazzoletto verde nel taschino, ma perché molto intelligentemente i pratesi si sono arricciati le maniche e hanno fatto rete tra di loro. Non ci dobbiamo più accontentare di produrre in rete, ma dobbiamo anche vendere in rete! Creare un marchio di qualità serio che garantisca che il prodotto è fatto da noi, ricreare i legami nella filiera e vendere i prodotti finiti.

Solo così il distretto tessile a Prato resisterà e rinascerà!


Massimo Signori 3926236424

Imprenditore

Cittadini Uniti Montemurlesi

1 commento:

Anonimo ha detto...

Gentile Massimo Signori,
leggo con piacere questo articolo che si conclude non con rassegnato disfattismo, bensì con uno slancio di orgoglio propositivo.
Mi permetto un'osservazione: sia la politica miope a cui purtroppo siamo abituati (una miopia perfettamente bipartisan e demagogica, come Lei stesso sottolinea), sia purtroppo voi stessi imprenditori "virtuosi" del tessile dimenticate l'ultimo anello della filiera, che è il CONSUMATORE.
Io coordino un Gruppo di Acquisto Solidale a Bologna che sta scegliendo proprio questa prospettiva (e non siamo certo gli unici!): vogliamo sentirci parte della filiera, e non solo un'appendice-con-portafoglio.
Per questo abbiamo "adottato" un agricoltore che, in cambio della certezza di vendere a noi la sua produzione ortofrutticola per tutto l'anno, coltiva secondo criteri e principi che abbiamo concordato insieme; proprio in questi giorni, poi, siamo in procinto di "adottare" anche una parrucchiera bolognese e un laboratorio di confezioni ferrarese: si discute insieme delle caratteristiche dei prodotti e dei servizi, si stabilisce un prezzo equo per entrambi, si va a verificare come lavora l'azienda... poi basta un po' di passaparola e il gioco è fatto.
Ovviamente i numeri sono ancora modesti: un GAS funziona bene finchè non cresce troppo.
Ma il principio regge e incontra sempre più il favore del consumatore.
Ed è proprio qui che sentiamo la mancanza di voi imprenditori!
Il mio invito è di sviluppare e "coltivare" una rete fra i GAS (a livello locale o anche nazionale) e soprattutto collaborare con i consumatori, spiegando le vostre esigenze e problematiche e ascoltando le nostre.
Un prodotto "costruito insieme", di cui si conoscono e si possono verificare le caratteristiche, che abbia la faccia di chi lo produce: si acquista sicuramente meglio dell'ennesimo marchio anonimo sedicente "etico". O no?

Federica Cuppini,
gasbic @ gmail.com