martedì 26 maggio 2009

Cassa integrazione per 102 dipendenti in tre aziende del gruppo Flowers

Firmati questa mattina, martedì 26 maggio, in Provincia tre accordi per la Cassa integrazione straordinaria in altrettante aziende del gruppo Flowers di Montemurlo, attivo nel settore del controllo qualità tessuti. Gli accordi prevedono l’attivazione della cigs per crisi per tutto l’organico delle tre imprese, ma in questo modo l’azienda cerca di superare il difficile momento di crisi senza dichiarare esuberi e operare licenziamenti. Inoltre, sarà attuato un programma di formazione (per il quale la Provincia mette a disposizione i suoi voucher) che ha come scopo il rafforzamento delle competenze professionali delle dipendenti (quasi tutte donne) e il potenziamento dell’azienda. In qualche modo un esempio virtuoso di come trasformare la crisi in opportunità per crescere. Gli accordi riguardano la Textile Service srl per un numero massimo di 27 dipendenti, il Gruppo Tessile Flowers Controllo tessile srl per un numeo massimo di 41 dipendenti e la GTF Quality Control srl per un numero massimo di 34 lavoratori. Complessivamente si tratta dunque di 102 persone interessate da riduzione di orario e/o sospesi a zero ore. Tutte le aziende presenteranno istanza di cigs per crisi aziendale a decorrere dal 27 maggio 2009 e per la durata di 12 mesi.

-21,4 la produzione in Piemonte

Salviamo il tessile su facebook

CRISI: NEL PRIMO TRIMESTRE IN PIEMONTE PRODUZIONE - 21, 4%
Secondo l'indagine congiunturale realizzata da Unioncamere
(ANSA) - TORINO, 25 MAG - Per il Piemonte il 2009 si e' aperto con il peggior risultato degli ultimi anni: un calo di produzione nel primo trimestre del 21,4%. In linea con il dato nazionale (-21,7%). Automotive, metalmeccanica e tessile- abbigliamento sono i protagonisti della crisi del tessuto manifatturiero piemontese. Emerge dall'Indagine congiunturale sull'industria manifatturiera, realizzata da Unioncamere Piemonte in collaborazione con gli uffici studi delle Camere di commercio provinciali. (ANSA).

martedì 19 maggio 2009

Salviamo il tessile serata a Montemurlo

Lo Scec a Montemurlo


Progetto Scec
Un salvagente verso un’economia sostenibile a Montemurlo
Domenica 24 Maggio ore 20,30
Piazza della Libertà
MONTEMURLO
Interverrà
Paolo Tintori
Presidente Arcipelago Toscana
Massimo Signori
Imprenditore tessile
Enrico Mungai
Candidato sindaco Montemurlo a 5 stelle


ArcipelagoŠCEC è un’associazione APARTITICA e non può appoggiare questa o quella parte politica ma collabora con tutte le persone interessate al progetto. Il motivo di questo è intuibile nel fatto che la Šolidarietà non ha colore politico, è per tutti gli abitanti di una comunità di qualunque età, nazionalità, razza essi siano, nessuno escluso.

lunedì 11 maggio 2009

Prodotto in Cina quindi Made in Italy

ANCHE SE PRODOTTO IN CINA RESTA MADE IN ITALY. SCONCERTANTE DECISIONE DELLA CASSAZIONE
Per la Suprema Corte è importante non il luogo di produzione ma l'identificazione del produttore. Quindi un’impresa che apponga la dicitura “Italia” e il tricolore su un manufatto realizzato in qualsiasi altro Paese non commette alcun illecito. Distrutto il lavoro di anni

di Alberto Grimelli

Le aziende italiane possono delocalizzare la produzione in Cina e altri Paesi applicando poi la dicitura “Italy” e il tricolore.
Per la Cassazione, ciò non viola la normativa della Finanziaria 2004 a tutela del “Made in Italy” perchè ciò che rileva non è il luogo di produzione del manufatto ma l'identificazione del produttore e la riconducibilità del prodotto all'azienda.
La decisione arriva in seguito al sequestro, da parte della polizia alla dogana di Napoli, di un lotto di tute, magliette e pantaloncini marcati “Italy” ma prodotti in Cina da un'impresa italiana, che secondo la polizia avrebbe così violato la normativa a tutela del prodotto nazionale.

La pronuncia della Cassazione (n. 3352/2005) ha fatto parlare di allentamento dei vincoli soprattutto per quanto riguarda la tutela dell'origine, concetto per la Suprema corte più ampio di quello di semplice provenienza che pure era stato tutelato penalmente dopo l'approvazione della Finanziaria 2004.

Vi sono poi le perplessità, espresse anche dall’Agenzia delle dogane, sul fatto che le norme puniscono anche “la fallace indicazione” di origine consistente in segni, simboli, figure che possano indurre il consumatore a ritenere che il prodotto sia di origine italiana. La norma è poco chiara perché c’è una grande varietà di situazioni concrete che comportano una analisi interpretativa dell’intenzione di spacciare per italiano un prodotto che non lo è.

Vero è che il legislatore non è perfetto, nè lo sono le leggi. Sono assolutamente migliorabili e perfezionabili.
Esatto che le norme lasciano ampi margini interpretativi, che speculatori e falsificatori hanno molte possibilità di aggirare i paletti e i vincoli posti dai regolamenti.
Uno dei compiti più rilevanti delle Autorità di controllo, come pure della magistratura, è proprio interpretare la volontà del parlamento, che, almeno in questo caso, è estremamente chiara.
Con la Finanziaria 2004 si intendeva proteggere, con un marchio di qualità, la produzione nazionale, che gode di prestigio su tutti i mercati internazionali per la cura e l’attenzione con cui è realizzata. L’Italia non è solo design, innovazione, creatività. È anche fabbriche e laboratori. Vi sono migliaia di operai, il cui lavoro va salvaguardato.
Ormai ho rinunciato da tempo a cercare di comprendere i percorsi mentali e i pensieri dell’autorità giudicante. Ciò che posso affermare è che la Cassazione ha interpretato fin troppo fiscalmente ed in maniera pignola la legge sul “Made in Italy”.

Ora, per disinnescare la portata potenzialmente eversiva della sentenza, il decreto sulla competitività dovrà intervenire per chiarire che la portata della tutela penale del “Made in Italy” deve essere allargata sino a tenere conto sia del luogo di produzione dei prodotti (concetto di origine), sia del produttore (concetto di provenienza).
di Alberto Grimelli
30 Aprile 2005 TN 17 Anno 3

martedì 5 maggio 2009

Cosa si nasconde dietro il made in Italy?

pubblico dal blog http://robinhood.it/madeinitaly/

un articolo interessante

“Anno zero” di Santoro ha messo in luce attraverso un report che ha ricevuto grossi complimenti dai presenti in studio, una realtà choc: quella di Prato, importante distretto tessile dove un’impresa su otto è controllata dai cinesi.
Naturalmente si tratta di realtà, quella di Prato come tante altre, che si vivono ormai nel nostro paese tutti i giorni, senza quindi nemmeno il bisogno di apprenderne i particolari attraverso la televisione, la quale fa comunque bene a riproporle come richiamo.
Una recente statistica elaborata da Il Sole 24 ha fornito alcuni dati sul fenomeno: le aziende che fanno capo ad imprenditori cinesi rappresentano il 12,5% del totale (un’azienda su otto parla cinese). Hanno un turnover del 60% contro il 15,7% delle italiane. Il giro d’affari è di 1,8 miliardi di cui un miliardo realizzato in nero. L’export rappresenta il 70% del fatturato.
I cinesi comprano i tessuti prevalentemente dalla Cina (quelli italiani sarebbero costosi) e hanno ormai un’organizzazione autonoma in quanto a trasporti e logistica. Il dato che colpisce maggiormente è il costo del lavoro per unità di prodotto, pari per le aziende cinesi al 42,7% contro il 73,2% del distretto tessile ufficiale. Il 46% dei contratti di lavoro dura nelle imprese cinesi meno di sei mesi. La chiusura di un’azienda è preceduta dalle dimissioni dei dipendenti. Meglio non parlare delle condizioni – anche igienico sanitarie –in cui i cinesi espletano il lavoro in fabbrica per ben sedici ore al giorno.
Grossa, come innanzi detto, l’evasione delle tasse (quella suii rifiuti raggiunge l’80%): un paradiso fiscale.
Il distretto tessile cinese non ha alcun punto di contatto con il distretto tessile pratese; d’altronde è molto difficile la coesistenza tra chi lotta giorno per giorno per non perdere punti di competitività e chi infrange tutte le regole e grazie a questo si arricchisce e continua ad espandersi nel nostro paese.
Il segreto di questa economia si basa quindi sul minore costo rispetto ai lavoratori italiani con una produttività migliore che in Cina, basata sul mancato rispetto delle regole. Il fenomeno sta proprio in questi aspetti: moda economica con la quale vengono inondati i mercati ispirandosi ai modelli delle grande sfilate, con l’aiuto di disegnatori italiani che garantiscono il gusto e l’esperienza necessari.
La prima domanda che ci si pone è la seguente: dove sono finiti i controlli? I cinesi, il cui insediamento nel nostro paese è incominciato negli anni 90, potrebbero pur concorrere allo sviluppo del nostro paese, rappresentando quindi un’opportunità e non un problema, a condizione che rispettino però le regole.
Un recente blitz dei carabinieri di Prato del 24 marzo scorso ha portato all’arresto di quattro imprenditori cinesi con le accuse di immigrazione clandestina e sfruttamento di manodopera straniera irregolare. Gli stessi sono stati anche denunciati per violazioni urbanistiche avendo creato numerose infrastrutture all’interno degli opifici.
La speranza – sarebbe tuttavia anche un diritto, soprattutto dei seri imprenditori italiani – è che il blitz non rimanga un fatto isolato è che le istituzioni incomincino ad eseguire finalmente gli auspicati controlli delle cennate illegali realtà, contribuendo quindi al rilancio del vero made in Italy, quello “by italian people”.