venerdì 23 gennaio 2009

Crisi Tessile Calabria

CASTROVILLARI: SINDACATI, ALLARMISMO PER CRISI SETTORE TESSILE


(ASCA) - Castrovillari (Cs), 19 gen - Si sono riuniti i rappresentanti di categorie di Filtea- Cgil - Femca-Cisl - UILTA - Uil territoriali e provinciali per esaminare la situazione di crisi in cui versa il comparto tessile dell'area di Castrovillari, con le relative 250 maestranze, le quali manifestano il piu' profondo allarmismo. Alla luce di cio' - informa un comunicato sindacale - e' stato trasmessa un'urgente richiesta d'incontro all'Assessore alle Attivita' Produttive della Regione Calabria, Francesco Sulla, atto a creare i presupposti di sviluppo e di rilancio dell'area industriale di Cammarata. Per questo i Sindacati ''si appellano alla sensibilita' dell'Assessorato e della Giunta calabrese, firmatari in passato di precisi accordi istituzionali''. Lunedi', 26 gennaio prossimo, alle ore 10, nella sala del Protoconvento Francescano di Castrovillari, si terra' un'assemblea unitaria.

red-res/mcc/ss

Crisi Tessile in Veneto

OCCUPAZIONE NEL TESSILE, -64% RISPETTO AL '91
Incontro domani, con gli operatori del settore per fare il punto sul comparto


“Il settore aessile abbigliamento calzature a Treviso - Il contributo delle piccole aziende - Problemi e proposte” è il titolo del convegno in programma domani, venerdì 23 gennaio,dalle 9.30 presso la sala conferenze della Camera di Commercio. L’incontro farà il punto sulle ragioni che hanno determinato una forte contrazione in termini aziendali e occupazionali del comparto artigianato tessile abbigliamento in provincia di Treviso a partire dagli anni Novanta.

La flessione si fa sentire gia nel decennio 1991 - 2001 (più esattamente a partire dalla seconda metà degli anni ’90) e tende ad accelerare nei periodi successivi. Nel 1991 l’occupazione complessiva nei due comparti artigiani era di 14.625 addetti, mentre nel 2007 scende a 5.273 con un calo percentuale del 64%. Nel 2007 le imprese artigiane di Treviso con almeno un addetto sono 413 nell’abbigliamento e 132 nelle calzature, l’occupazione è rispettivamente pari a 4.034 e 1.239 addetti. Ora questi due comparti si sono fortemente ridimensionati sia nel numero delle imprese che in quello degli addetti.

Crisi tessile in Lombardia

Sono 740 le aziende lombarde in crisi
Maggiori problemi a Varese e Bergamo
E’ un quadro della situazione produttiva in “pesante peggioramento” quello tracciato dalla Femca. Per la precisione 504 le aziende tessili in crisi, mentre 236 sono le imprese in difficoltà nel settore chimico
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Milano, 21 gennaio 2009 - Sono più di cinquecento, per la precisione 504, le aziende tessili in crisi, per 31.376 lavoratori coinvolti e difficoltà concentrate in particolare in provincia di Bergamo; 236 imprese in difficoltà nel settore chimico, con 28.245 lavoratori interessati, con i maggiori problemi in provincia di Varese.



E’ un quadro della situazione produttiva in “pesante peggioramento” quello tracciato dalla Femca, la Federazione energia moda chimica ed affini della Cisl della Lombardia, che ha reso noto oggi i risultati delle indagini congiunturali relativi al sistema moda e al comparto della chimica.



Nel 2008 le imprese interessate all’utilizzo degli ammortizzatori sociali (Cassa integrazione guadagni ordinaria, straordinaria, mobilità) sono state complessivamente 740 +124% (504 area tessile, +103%, 236 area chimica, +192%) rispetto alle 330 imprese del 2007 (249 area tessile, 81 area chimica).



Si è notevolmente ampliata nel 2008 la platea dei lavoratori interessati da processi di crisi 59.421 +113% (31.376 area tessile, 28.245 area chimica), rispetto ai 27.825 (17.859 area tessile, 9.966 area chimica) del 2007, mentre il numero dei lavoratori e delle lavoratrici direttamente coinvolti nel 2008 nell’utilizzo degli ammortizzatori sociali nella varie tipologie di crisi è più che raddoppiato: 28.977 addetti + 141% (18.853 area tessile, 10.124 area chimica), rispetto ai 12.013 (8.790 area tessile +114%, 3.223 area chimica +214%) del 2007.



Le difficoltà più marcate si evidenziano nelle aree territoriali della regione Lombardia dove è forte la presenza del settore cotoniero: territori di Bergamo, Brescia, Valle Camonica, Sebino, Legnano, Magenta, Varese.



Tutta la filiera del cotone in Lombardia è “in grossissima difficoltà”: nelle maggiori aziende di filatura e tessitura di cotone è aumentato in modo esponenziale l’utilizzo della Cigs, i gruppi aziendali più importanti come Manifattura di Legnano, Tessival, N & K, Cotonificio Honegger, Zambaiti e Legler sono quelli più coinvolti nell’utilizzo della Cigs, che da sole in Lombardia rappresentano circa cinquemila addetti. In diverse aziende si è poi fatto ricorso ai contratti di solidarietà.



Gli addetti posti in mobilità nel Sistema Moda in Lombardia nel 2008 sono stati 961, rispetto ai 420 del 2007. Mentre le aziende che hanno cessato l’attività sono state 23, con una perdita di 663 posti di lavoro.



La Cisl rileva che anche nei settori chimico, farmaceutico, gomma e plastica sono aumentate notevolmente le difficoltà, con un “evidente maggior ricorso a tutti gli ammortizzatori sociali”. E’ aumentato del 271% il ricorso alla cassa integrazione ordinaria: 6.844 addetti coinvolti nel 2008 rispetto ai 1.843 nel 2007, l’utilizzo della cassa integrazione straordinaria è anch’essa aumentata del 94% (1.206 addetti coinvolti nel 2008 rispetto ai 622 del 2007).



I lavoratori posti in mobilità sono triplicati +188% (1.928 posti nel 2008 rispetto ai 668 del 2007). Altre 4 aziende hanno cessato l’attività con una perdita di 146 posti di lavoro. I territori maggiormente coinvolti dalla crisi sono Varese e Milano.



”Quello che va superato, anche da parte industriale, è la pigrizia, il non rischiare, il perseguire la via apparentemente più facile - ha sottolineato il segretario della Femca Cisl Lombardia, Giuseppe Redaelli, presentando i rapporti -. In particolare, per il tessile continuare a pensare che è meglio delocalizzare vuol dire distruggere poco alla volta tutti i pezzi delle filiera. E senza filiera integra, non c’è più Made in Italy”.



”Servono sforzi congiunti su obiettivi precisi - ha aggiunto Redaelli - quali meno tasse sui salari, agevolazioni fiscali per fusioni, ricerca, innovazione, su cui indirizzare le risorse private degli industriali, delle banche e quelle del sistema pubblico, senza disperderle in mille rivoli, per aumentare la competitività delle imprese e salvaguardare l’occupazione”.

lunedì 12 gennaio 2009

I Cinesi a Prato

di ANNA BELTRAME
PRATO, 13 gennaio 2009 - NESSUNO sa quanti siano, i cinesi. I residenti sono 10mila, poi ci sono i regolari senza residenza, quindi i clandestini. Si ipotizza siano in tutto circa 20mila, il 10% degli abitanti. Di certo si tratta della comunità orientale più grande d’Italia in valori assoluti. Nel 1988 i residenti cinesi erano solo 31: in vent’anni a Prato sono cambiate tante cose. Pochi giorni fa perfino il Chicago Tribune ha scritto che non esistono al mondo Chinatown come quella pratese, in cui i «bianchi» si sentono stranieri e dove il «modello cinese» ormai è pronto per essere esportato anche in altre parti d’Italia. Sono lavoratori instancabili e tenaci, i cinesi. Scappavano da un Paese economicamente isolato e poverissimo, in particolare dalla regione dello Zhejiang, a vocazione tessile. E a Prato dal tessile hanno iniziato. Hanno occupato spazi, piano piano, sempre di più. Quelli fisici, quindi le case e i capannoni. E quelli economici, il settore delle confezioni soprattutto, il segmento di filiera in cui il distretto pratese era più debole, quello in cui il contenuto di manodopera è più alto e in cui potevano affermarsi grazie a un costo del lavoro irrisorio.

HANNO iniziato a lavorare negli stanzoni, spesso affittati in nero dai pratesi e non a norma. Ma le regole, per i cinesi di Prato, non sono mai state un grosso problema. Nella zona di via Pistoiese ce n’erano parecchi di stanzoni così. Succedeva che vivessero e lavorassero negli stessi locali e non era facile, per i pratesi, abitare accanto a loro. Così un po’ alla volta si è formata Chinatown: i pratesi vendevano casa, a prezzi sempre più bassi, i cinesi aumentavano e facevano affari, anche con i pratesi e spesso in nero.

OGGI È difficile incontrare un italiano in quella zona e le insegne in ideogrammmi sono quasi la totalità. I pratesi rimasti si sentono assediati, sono arrabbiati e hanno alle prossime elezioni sosterranno una lista civica che si chiama «Prato libera&sicura», non a caso.

IN POCHI anni i cinesi di Prato sono diventati una potenza economica e hanno trasformato il distretto nella capitale italiana del prontomoda. Le ditte pratesi soffrono e chiudono, quelle orientali crescono e sono quasi 4mila. I cinesi oggi vivono anche in altri quartieri, comprano ville, macchine lussuose. Non certo tutti, perché la ricchezza di molti si basa ancora sullo sfruttamento dei più deboli e dei clandestini, che hanno però l’ambizione di mettere da parte i soldi e un giorno affrancarsi e diventare a loro volta imprenditori. C’è sete di ricchezza e di futuro, ci sono tenacia e furbizia.

SONO centinaia i blitz compiuti negli ultimi mesi dalle forze di polizia, i sequestri effettuati per situazioni fuorilegge (compresa la violazione delle norme più elementari di igiene), i clandestini trovati a lavorare come schiavi. Si ipotizza che nel 2008 siano partiti da Prato alla volta della Cina quasi due miliardi di euro in rimesse, per buona parte in nero. Una cifra astronomica. Il fatturato complessivo del tessile pratese ammonta a meno di cinque miliardi. Bastano questi due dati per capire.

IN CITTÀ ora si parla di emergenza, di distretto parallelo illegale. Eppure sono bastati pochi anni a far sì che Prato fosse citata non più per la qualità dei suoi tessuti o perché patria di Roberto Benigni, ma per i suoi cinesi. È accaduto con la complicità interessata e poco previdente di tanti e anche per gli errori di valutazione della sinistra al governo. Accade però anche che i cinesi di seconda generazione inizino a integrarsi, a comprare libri italiani, ad andare al cinema. Ma i problemi sono comunque tanti e complessi.